Storia di una Storia

di Beatrice Masini

 

Una casa fuori dal tempo nasce da due curiosità incrociate, lasciate crescere a lungo, nutrite da sguardi e letture: il desiderio di immaginare la vita com’era nelle città dell’Impero romano, e com’era la vita per una ragazzina nell’Ottocento – che cosa sentiva, che cosa sapeva, che cosa poteva fare. Sono desideri che hanno qualcosa in comune: entrambi hanno i piedi affondati nella Storia.

Così a un certo punto è stato naturale intrecciare la storia di Vera, che arriva a Pompei dall’Inghilterra come compagna di avventure del fratello maggiore affascinato dall’archeologia, con quella di Ginestra che da Pompei non è mai andata via, legata com’è al paesaggio, alle pietre, alle rovine che custodiscono il segreto della sua identità. Vera è riservata ma anche irruenta, posata ma capace di slanci; Ginestra è un po’ selvatica, figlia della terra e del cielo, libera e leggera. Il loro incontro segna la nascita di un legame destinato a durare nonostante tutto.

E tra loro ci sono le indagini degli studiosi che vogliono restituire al mondo una città rimasta addormentata nei secoli, personalità diverse che incarnano atteggiamenti diversi nei confronti di ciò che è antico – patrimonio da conservare o materiale da commerciare; e ci sono gli dei, le presenze remote e imperscrutabili che osservano gli esseri umani e ridono delle loro pene forse per ignorare le proprie.

Poi c’è Pompei: quella che è stata, quella che è agli occhi degli stranieri che vengono da molto lontano per esplorarla, misurarla, scavarla, disegnarla. Protagonista quanto Vera e Ginestra, Caspian e Camilla, gelosa dei suoi segreti e dei suoi dolori rimasti per secoli al riparo della cenere pietrificata.

Questo è un romanzo storico che si prende parecchie libertà – le libertà della finzione – e che rende omaggio in modo più o meno esplicito a molti libri incontrati e visitati come si visitano le case degli altri, con attenzione e rispetto: perché noi scriviamo anche quello che leggiamo, dobbiamo leggere per poter scrivere, non siamo chi siamo senza i libri che diventano nostri per il solo fatto che li abbiamo letti.

Per esempio La fonte magica di Natalie Babbitt per il rischio dell’eternità; Lavinia di Ursula K. Le Guin per la passione nel raccontare un mondo remoto e avvincente; Stargirl di Jerry Spinelli, che mette in scena un’eroina dell’antibanale, e con lei altre ragazze di carta caparbie e indipendenti: Polissena, Miss Charity, Cassandra Mortmaine. Poi ci sono i prestiti: la figura della studiosa Camilla, che porta nel cantiere di Pompei caparbietà e generosità, è ispirata a una ragazza vera, Jane Harrison, archeologa inglese, studiosa del mondo greco e latino, raccontata benissimo da Mary Beard in The Invention of Jane Harrison. Il romanzo Il piccolo regno di Wu Ming 4 a sua volta parla, scegliendo un’altra cornice, di sonni disturbati e oggetti rubati; ma del resto anche nelle fiabe ci sono sempre gioielli che sono testimoni e talismani.

Questa storia accade nella prima metà del 1800, in un anno che non ho precisato per potermi prendere parecchie libertà. Per esempio, il primo calco di gesso che ha mostrato al mondo l’aspetto di alcune vittime dell’eruzione del Vesuvio avvenuta nel 79 d.C. è stato fatto da Giuseppe Fiorelli nel 1863, mentre io ho anticipato l’esperimento attribuendolo al buon modenese Ruffini, che è un personaggio d’invenzione. I nomi e le descrizioni di case e vie di Pompei sono ispirati a quelli veri ma sono per la gran parte immaginari, così come le composizioni di mosaici e affreschi e i luoghi in cui si trovano.

Caspian Briggs, il fratello della protagonista Vera, è un archeologo all’avanguardia: sa e racconta molte cose che in verità sono state scoperte, chiarite, accertate ben dopo il tempo della finzione in cui si muove col suo entusiasmo di giovane studioso. Se dice cose improprie perdonatelo: è colpa mia, non sua. Vera legge Cime tempestose di Ellis Bell, ovvero Emily Brontë, che è stato pubblicato nel 1847, e legge Goethe, già tradotto in inglese alla fine del Settecento; ascolta i Lieder di Schubert, morto nel 1828.

La regina archeologa che compare in modo fugace in un paio di scene è Maria Carolina d’Asburgo, che sposò re Ferdinando IV di Napoli nel 1768 e fu davvero un’appassionata degli scavi di Ercolano e Pompei. Infine, la statua che Vera e Caspian osservano con tanta reverenza nel loro viaggio verso sud in verità non abita in un villaggio della Campania ma in Sicilia, che è la terra del culto di Demetra: è la dea di Morgantina.

Io l’ho incontrata un pomeriggio ventoso di marzo del 2019 grazie alla gentilezza di una maestra e di suo marito che dopo una mattinata tra i bambini e le bambine in una bella vecchia scuola di San Cataldo mi hanno proposto una deviazione prima di tornare a Enna. L’isola era verde e azzurra, traboccava di possibilità, di primavera; siamo andati in auto tra eucalipti spettinati e colline fino a un piccolo museo, e la dea era là, al centro della sala, grandissima, trionfale, fermata a metà di un passo, non lontano dalla testa di Ade chiusa dentro una teca, un Ade con la barba di straordinari riccioli azzurri.

Non sapevo che fosse rimasta così con me finché non ho capito – ma è successo solo qualche mese fa – che la Demetra del romanzo doveva avere precisamente quelle sembianze. Non si sa se la dea di Morgantina sia Demetra o Persefone: e forse non è così importante. Niente di quello che vediamo o ci accade – o leggiamo – va perduto. A un certo punto semplicemente si trasforma.

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