Il fiore perduto dello sciamano di K: intervista a Davide Morosinotto

Il fiore perduto dello sciamano di K è l’atteso, nuovo romanzo di Davide Morosinotto: un viaggio con la fantasia che trasporterà il lettori fino in Perù, sulle tracce di un fiore misterioso dai poteri miracolosi. Ecco cosa ci ha raccontato l’autore sui personaggi, la diversità e la scrittura!

Il fiore perduto dello sciamano di K arriva dopo Il rinomato catalogo Walker & Dawn (2016) e La sfolgorante luce di due stelle rosse (2017). I tre libri costituiscono una sorta di trilogia dei fiumi, visto il ruolo centrale del fiume in ogni libro: era la tua intenzione, o è stato casuale?

Il rinomato catalogo Walker & Dawn è stato un libro particolare… detto sinceramente, quando è uscito, ero abbastanza sicuro che non avrebbe mai avuto successo: l’avventura non era un genere “di moda”, avevo paura che il libro fosse troppo lungo e complicato. Quindi non ho detto a nessuno che avevo l’idea di farne addirittura una trilogia. Una trilogia strana, ambientata in tre periodi storici (1904, 1941, 1986) e in luoghi lontanissimi. Ma sempre con storie raccontate dai protagonisti, una grafica un po’ sperimentale, e un fiume al centro della scena. E con qualche personaggio a saltare da un libro all’altro, perché mi piace pensare che tutte le storie del mondo, in fondo, siano collegate fra loro.

A collegare i romanzi abbiamo, appunto, anche due ritorni importanti: un protagonista de Il rinomato catalogo Walker & Dawn appare nel tuo nuovo romanzo ormai adulto, e un personaggio che avevamo già incontrato ne La sfolgorante luce di due stelle rosse vive nel nuovo romanzo un “momento di redenzione”. Com’è stato riprendere in mano due personaggi, e inserirli in una nuova storia?

La sensazione è quella di incontrare un amico d’infanzia, uno di quelli con cui hai condiviso tutto per anni finché poi, per le cose della vita, ti perdi di vista. È divertente, emozionante. E anche spiazzante, perché nel corso degli anni le persone cambiano moltissimo, a volte fai fatica a riconoscere nell’adulto il ragazzo che era. Anche se poi, in realtà, basta scavare un po’ ed è sempre lì. Nel caso de Il fiore perduto dello sciamano di K, due personaggi ritornano per un attimo sulla scena. Uno, di Leningrado, era previsto da molto tempo e aspettavo di incontrarlo. Il secondo, del bayou, è stato invece un’assoluta sorpresa. Me lo sono ritrovato lì in ospedale e ho detto «toh, guarda chi c’è…».

Ma veniamo a Laila ed El Rato, i protagonisti de Il fiore perduto dello sciamano di K: come li presenteresti ai lettori?

Sono la luna e il sole. Laila è la figlia di un diplomatico finlandese a Lima: è cresciuta tra cocktail e ricevimenti, frequenta scuole private d’alto livello, legge moltissimo, ha tutto quello che si potrebbe desiderare. Ma è sempre stata un po’ sola, senza molti amici. E soprattutto all’inizio del libro scopre di avere una malattia rara, dunque è costretta a lasciare tutto e finisce in una clinica. Il suo mondo va in pezzi, anche lei, ma presto scoprirà di avere risorse inaspettate. El Rato invece è peruviano, ed è nato e vissuto nell’ospedale: non ne è mai uscito nemmeno per un giorno. Per questo ha uno status molto speciale. È amico di tutti i dottori e gli altri ragazzi lo considerano il capo del Nido (il reparto pediatrico). È un entusiasta e un sognatore. Ha un suo modo luminoso di affrontare la vita. È anche uno che racconta bugie a ripetizione. A tutti gli altri, ma soprattutto a se stesso. Laila lo aiuterà a fare i conti con i suoi segreti.

Un tema molto forte e sviluppato nel romanzo è sicuramente quello della diversità, anche partendo da Laila ed El Rato. I due ragazzi non potrebbero essere più distanti (lei figlia di un diplomatico finlandese, lui orfano e privo di mezzi), ma vivere un’avventura insieme li unisce, portandoli a superare le loro differenze. Era qualcosa che ci tenevi a raccontare, pensando anche al particolare momento storico che stiamo vivendo?

No, assolutamente. Io odio i libri che vogliono mandarti un messaggio. Per quello esiste WhatsApp, che è molto più veloce e anche più onesto. A me interessava solo conoscere la storia di Laila ed El Rato. In particolare, ero curioso (sarebbe più giusto dire: spaventato) di sapere se questa strana coppia sarebbe riuscita ad arrivare in fondo al viaggio, e cosa sarebbe successo lì. Perché non ne avevo davvero idea. Più mi avvicinavo al momento, più avevo paura che il mio libro non avrebbe mai trovato una fine e si sarebbe distrutto come un castello di carte. Tutto qui. Poi, le storie hanno questa caratteristica, di parlare sempre di “qualcosa”. Spingono a farsi delle domande. Ma le risposte, quelle devono darsele i lettori.

Abbiamo parlato di avventura, e il Fiore Perduto è senza dubbio un romanzo di avventura nel senso più classico del termine. Pensando anche a te stesso quando eri un giovane lettore, riesci a ricostruire un percorso che ti ha portato dal leggere di avventura (magari citando qualche titolo favorito…) a scriverne? Quanto ti hanno influenzato – e ti influenzano – le tue letture?

I miei genitori sono fortissimi lettori: a casa nostra i libri sono sempre stati considerati una cosa importante. C’erano delle regole ben precise. Ad esempio, il fatto che i libri andavano trattati con riguardo, per non rovinarli. E anche se bisognava fare economia su tante cose, in libreria si poteva scegliere senza guardare il prezzo. Il numero di titoli che potevo comprare era comunque limitato… Quindi i miei libri di avventura sono stati soprattutto quelli della collana “Best Seller per i Giovani” di Edizioni Dell’Albero. Una serie degli anni ’60 di mio padre, 350 lire a libro scritto bello grande in copertina. Dentro c’era tutto: Il giro del mondo in 80 giorni e 20.000 leghe sotto i mari, Il vagabondo delle stelle di London, Kim, Taras Bulba di Gogol, L’uomo invisibile di Wells, Piccole Donne, La freccia nera, Gulliver, Joseph Conrad, Le avventure del barone di Münchhausen, Ettore Fieramosca e Il Corsaro Nero. Io leggevo, magari lasciando a metà quelli troppo difficili per me. E l’influenza che hanno avuto… è così profonda che non saprei nemmeno da che parte cominciare a parlarne.

Molti dei nostri (e dei tuoi!) lettori sognano di diventare scrittori: c’è un consiglio, o un suggerimento, che ti senti di dare loro?

Il miglior suggerimento lo ha dato Stephen King, ed è semplicissimo: leggi molto, scrivi molto. Come tutti i suggerimenti semplici, è complicato da mettere in pratica. Richiede impegno e costanza. Ma è come nello sport. Serve allenamento, e se vuoi diventare bravo devi allenarti più degli altri. Quindi, leggi e scrivi tutto il giorno, tutti i giorni. Sì, anche il tuo compleanno. Sì, anche a Natale. Anche perché, cosa c’è di meglio di passare la mattina di Natale a leggere un libro?

Il fiore perduto dello sciamano di K di Davide Morosinotto vi aspetta in libreria!

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